Discorso proferito da Tomaso Kemeny
Membro della Giuria Internazionale
Fondazione per il Gran Premio Janus Pannonius per la Poesia
Pécs, Ungheria
29 Agosto, 2015
Eminenti Poeti Premiati, Signor Presidente, Signore e Signori,
La poesia di Giuseppe Conte si nutre delle energie mitiche di tutte le etnie, energie che tendono a sentirci tutti fratelli, un’energia che il poeta sottopone al meraviglioso gioco della metamorfosi e la sua voce inconfondibile e contemporanea, custodisce allo stesso tempo i valori del passato proiettandoli negli spazi di un futuro da inventare. Esordisce quale redattore della rivista d’avanguardia “il Verri” e nel 1972 dà alle stampe “La metafora barocca” riferimento d’obbligo, ancora oggi, per gli studi sul seicento. S’impone all’attenzione della critica con “Il processo di comunicazione secondo Sade”, dove la sua scrittura porta ancora gli echi della neo-avanguardia italiana. Ma è con il volume “L’ultimo aprile bianco” (1979) che Conte reinventa in italiano la forza corale della poesia mondiale “tragica e desiderante”. La scrittura di Giuseppe Conte ingloba, ma oltrepassa il pensiero etnocentrico che vincola, esclusivamente, all’amore della propria terra e giunge a fondare un pensiero mitocentrico che lo porta ad essere uno dei fondatori del Movimento Mitomodernista Internazionale di cui è voce poderosa e autorevole.
Per conquistare il suo stile inconfondibile, Giuseppe Conte ha studiato i procedimenti compositivi dei poeti da lui venerati, da Omero a Shakespeare, da William Blake a Percy B. Shelley, a Baudelaire,da Sbarbaro a D.H.Lawrence. In cerca di civiltà cosmiche, magiche e solari ha pellegrinato sulle rovine degli Etruschi, sulle tracce degli Aztechi, fino ai sentieri degli Indiani d’America e fino alle Rocky Montains per meditare sulla tomba di D.H.Lawrence. L’elaborazione del suo stile è accompagnata da una copiosa produzione saggistica. Si pensi a “Metafora” (1980), a “Terre del mito” (1991,2009) a “I percorsi di Ermes: riflessioni sul mito”(1999). Significativa, poi, è la sua critica radicale al ’catastrofismo culturale contemporaneo’ in “Lettera ai disperati sulla primavera” (2006).
La sua dedizione alla ’Welt-literatur’ si concretizza in “La lirica dell’Occidente, dagli Inni Omerici al Novecento” (1990) e da “La poesia del mondo, la lirica d’Occidente e d’Oriente” (2003), con una prefazione di Adonis.
La poesia di Giuseppe Conte è una sfida all’ignoto e assume il senso di un’avventura senza fine che sillaba dopo sillaba, parola dopo parola ci svela la inevitabilmente incompiuta visione dell’essere- divenire della natura e dell’universo. E così ’l’eterno ritorno’ di memoria nietchiana, rinasce nella sua voce attualissima, paradossalmente pure custode delle avventure spirituali del passato a cui conferisce una forma tesa verso il futuro. La sua poesia assume risonanze internazionali in sue pubblicazioni di poesia come “L’Oceano e il ragazzo” (1983), tradotto negli Stati Uniti e in Francia con la prefazione di Italo Calvino, ottenendo il premio Nelly-Sachs. Segue “Le stagioni” (1995), premio Montale, pubblicato in francese sui “Cahiers de Royaumont”, “Ferite e fioriture” (2006). L’energia del verso di Giuseppe Conte incontra antologizzazioni francesi “Villa Hambury& autres poems” e in arabo col titolo “Farah bila Ism” (“Gioia senza nome”), con una prefazione in versi di Adonis. Tutte le poesie del poeta finòra composte, stanno per essere pubblicate per i tipi della Mondadori.
Caro Giuseppe Conte, la tua poesia oscilla-fluttua tra gioia e dolore, visionario ottimismo e disperazione. Il tuo verso incanta e tende a mutare l’anima dei lettori, e badate amici, è una poesia in rivolta permanente alla ragione economica e al materialismo nihilista che devasta la terra e il mondo. La tua poesia, caro Giuseppe, aiuta a ritrovare la sorgente originaria dell’essere e della natura, quella che porta la donna e l’uomo a rinnovarsi ad ogni levare del sole.
Ti prego di andare a ritirare il Gran Premio Janus Pannonius 2015 per la Poesia dal Presidente della Fondazione Janus Pannonius Grande Premio per la Poesia, Géza Szőcs.